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Tra tutti gli esseri che popolano il nostro mondo l'uomo è, probabilmente, quello che più di tutti ha imparato a modificare l'ambiente intorno a lui a proprio beneficio.

Nel corso dei secoli, questa capacità si è sviluppata in una vera e propria visione separata, che ci porta a considerarci essere distinti e indipendenti dalla Natura, contrapponendo artificiale e naturale.

L'uomo si considera un essere privilegiato, dalle caratteristiche uniche, posto in cima ad una gerarchia di esseri, ingenuamente stabilita su basi puramente antropocentriche.

Questa visione del mondo, oltre a essere alla base della crisi ecologica in cui siamo oggi coinvolti, ci lascia in preda ad una profonda crisi esistenziale, ad un senso di vuoto, di mancanza di senso, che ci porta a vedere il mondo come una fonte di pericolo, un ambiente ostile, una gabbia opprimente e ci porta a perdere vitalità e salute.

Anche il nostro rapporto con la comunità è condizionato da questo paradigma.

Ci poniamo in un'ottica predatoria verso noi stessi e il resto del mondo. Ma se il mondo è fatto solamente di oggetti utili, io non posso che pormi in una dimensione di dominio, gerarchica, che non potrà mai essere sostenibile nel lungo periodo, in quanto implicherà sempre la sottomissione – di altri uomini, di animali, di interi ecosistemi – generando disequilibrio e conflitti costanti.

Recuperare la consapevolezza della nostra interdipendenza dalla Natura è quindi la via per superare questa visione gerarchica, arrivando da una visione della vita come sistema, una rete di cui tutti facciamo parte, una relazione indissolubile.

Vivere il contatto con l'ambiente e assaporare il pieno senso di meraviglia che trasmette non è solamente quindi “terapia” individuale, ma è anche una bellissima forma di attivismo ambientale, un modo per trasformare se stessi nella relazione con il cuore vitale del mondo.

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